La depressione, oltre che essere una malattia mentale, può portare a dipendenze?
Intervista con Nicola Simonetti
Quattro milioni e mezzo di italiani in preda alla depressione, un male di vivere, ignorato, spesso trascurato.
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– Perché, di cosa si tratta in realtà?
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– Si tratta – ci risponde il prof. Vito Covelli, neuropsichiatra, già professore di neurologia nell’università Federico II di Napoli e direttore neurologia ospedale consorziale università di Bari – di una malattia pericolosa e disgregante che conduce il paziente ad isolamento progressivo e totale. Il depresso non vede il proprio futuro perché vive nell’elogio del suo passato personale. Un problema, questo, che altera fortemente stile e qualità di vita, porta con sé distacco affettivo e, spesso, spinge nelle braccia ritenute “protettive” dell’alcol.
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– Qual è il rapporto depressione-alcol?
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– Assistiamo ad un’esponenziale abitudine alI’alcol anche tra i giovanissimi (12 milioni di ragazzini; quasi un milione beve per sballarsi; 35 milioni italiani bevono alcolici; 70 mila gli alcoldipendenti in carico ai servizi di recupero) e, per contro, aumenta la depressione, una malattia mentale che si cura con estrema difficoltà.
I pazienti con disturbi dell’umore e di panico, fobia sociale, ansia generalizzata sono più esposti di altri ad abusare dell’alcol che essi scambiano per terapia e sviluppano, più facilmente, dipendenza, sono più esposti a sviluppare gravi crisi di astinenza.
Il ricorso alla birra fuori dai pasti segna, spesso, l’inizio dell’abitudine, suggella l’errata convinzione che l’alcol sblocchi, faccia “bene” e gli alcolici, a volte assunti insieme ad ansiolitici e/o antidepressivi, fanno proprio più male, inducendo solitudine: l’appartarsi destruente, il ripiegarsi in se stessi, il non sapersi liberare dalle istanze intime e, nel tentativo di uscirne, il ritorno all’alcol diventa un “rito”, quasi una necessità impellente. L’alcol diviene un “lubrificante sociale” ed ha molto appeal creando l’illusione che esso renda più facile la vita ed i rapporti con gli altri: è la premessa invadente alla tolleranza, cioè al dover aumentare le dosi di alcol ingerite. E questo apre le porte alla depressione, a maggiore inquietudine, ai disturbi della personalità e del comportamento.
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– Cos’è l’ “hang over”?
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– Una cappa pesante, una cefalea, associate ad angoscia e tensione, nausea, malumore che danno il “buon giorno” al consumatore continuativo di alcolici, che ha alzato troppo il gomito la sera precedente. Un senso di malessere generalizzato che induce a tornare a bere perché passi la buriana mentre la depressione è dietro l’angolo ed il rischio di suicidio si accentua.
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– Perché?
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– L’alcol porta con sé il discontrollo delle pulsioni, più impulsività, altera i filtri intellettuali, riduce la capacità di critica e giudizio, dà senso di malessere generalizzato e totale disinibizione
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– Basta questo per “giustificare” auto od etero-aggressione?
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– Il bere è visto come un vizio, dagli altri, specie dal coniuge, dai figli, dagli amici che rifiutano il soggetto; bere è vissuto come colpa ripugnante laddove esso è una malattia. Vengono, così, a mancare i rapporti ed i supporti familiari e sociali, la protezione da parte della famiglia e la persona si avvia a rapida e tragica deriva generale, mentre si fa sempre più strada l’impulsività facilitata dall’alcol e la fase maniacale scaturente pone a rischio se stesso (suicidio) e gli altri (atti di violenza), crea pericolosità sociale.
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– Il neurologo cosa fa in questi casi?
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– Difficile far comprendere a parenti ed amici che l’alcolismo è una malattia e non un vizio e che, come tale, esso va curato. La prevenzione è importante e significa curare disturbi dell’umore, mania, depressione, fobia sociale, panico, ansia generalizzata prima che sfocino nell’alcolismo cronico.
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– L’alcolismo nella donna?
La casalinga è a maggior rischio di craving, che significa prepotente alcol-attrazione. Il lavoro ripetitivo, solitario della “donna in casa” genera depressione, che la precede od accompagna (c’è una depressione che va insieme all’alcolismo e quella che insorge dopo; la bipolare, specie se familiare, induce più verso l’alcol) ed esse diventano apatiche, abuliche, apprensive, perdono la connotazione di moglie e madre, nascondono l’alcol mentre si deteriora la loro sfera intellettuale e la disgregazione della personalità e della famiglia.
Occorre interrompere la dipendenza dall’alcol. Non è una lotta semplice. Ma ci si deve impegnare. Non ci possiamo né dobbiamo arrenderci. Si può, si deve riuscire.
Nicola Simonetti